Creazione o evoluzione?

Le origini della vita
studio critico sulle teorie evoluzionistiche
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Evoluzione
Tutti probabilmente sono familiari con il termine “teoria dell’evoluzione”. Essa viene insegnata nei testi scolastici come fatto inequivocabile; ne sono permeati i commenti dei documentari, la letteratura, il cinema, la televisione, i giornali. E’ tutto oro quello che luccica? Cosa c’è di vero in questa teoria?

Onde evitare confusione, è bene distinguere tra evoluzione biologica e teoria dell’evoluzione. Il termine evoluzione definisce in modo generico il processo – le variazioni nel patrimonio genetico di una popolazione, verificatesi nel tempo – mentre il termine evoluzionismo definisce la “teoria”, o più correttamente l’ideologia, secondo la quale tutti gli organismi viventi derivano per trasformazione da altri di epoche passate.

L’evoluzionismo viene quasi sempre presentato come una scienza esatta, ampiamente supportata dai ritrovamenti e dalla ricerca, e accettata da tutti gli scienziati. In realtà, l’evoluzione biologica come spiegazione delle origini della vita non è né una teoria né un fatto, ma è una mera assunzione aprioristica.

In natura l’evoluzione avviene e si conclude nello stesso organismo; essa non produce nuove caratteristiche, ma consiste nella manifestazione oppure nella soppressione di caratteristiche già esistenti. Si tratta di un fenomeno naturale osservato, misurato e ripetuto, e pertanto scientificamente verificato.

La selezione artificiale operata dagli allevatori è un esempio di tali variazioni: gli animali sono selezionati in base a particolari tratti o caratteristiche, allo scopo di produrre una variazione nella razza che possa renderla, ad esempio, più utile o più piacevole esteticamente.

Ciò non significa che vengono sviluppati nuovi tratti, ma solo che le informazioni genetiche vengono riorganizzate e i tratti più utili sono favoriti.
In sostanza, dunque, non si producono nuove informazioni genetiche; vengono semplicemente “riorganizzate” quelle preesistenti, formando nuove combinazioni, peraltro limitate, come predetto dalle leggi di Mendel sulla genetica.

Per estrapolazione, gli evoluzionisti postulano la produzione di nuovi tratti negli organismi viventi nel corso di lunghissimi periodi di tempo, di nuove specie, grazie all’evoluzione. Secondo questa teoria, tutte le forme di vita discenderebbero da antenati comuni: i “mattoni” della vita sarebbero nati dall’interazione di elementi inerti, e il primo microrganismo si sarebbe evoluto nel corso di miliardi di anni in forme di vita via via più complesse – da ameba a invertebrato, a anfibio, rettile, quadrupede, scimmia, e infine all’uomo. Essa consiste, in pratica, nell’assumere che l’evoluzione all’interno della razza sia prova dell’ipotetica evoluzione da una razza all’altra. Questo tipo di evoluzione è definito macroevoluzione.

Nonostante il fatto che la macroevoluzione non sia mai stata provata scientificamente (perché una teoria possa essere ritenuta scientificamente valida, deve essere osservabile, misurabile, e ripetibile; la teoria evoluzionistica non risponde ad alcuno di questi tre requisiti), e nonostante il fatto che non vi sia alcuna base scientifica per giustificare l’estrapolazione della macroevoluzione dall’evoluzione osservata in natura, neppure nel corso di miliardi di anni, questa dottrina viene tranquillamente inculcata in maniera dogmatica agli studenti, e spesso difesa violentemente, contestando e non di rado censurando ogni voce “fuori dal coro”.

Secondo il modello evoluzionista, tutto quello che è possibile osservare oggi è frutto di eventi casuali e lunghissimi periodi di tempo. Non esiste altra realtà al di fuori della natura; non esiste uno scopo o un creatore nell’universo, ma tutto ha avuto origine da processi naturalistici e meccanicistici propri della materia inanimata (materialismo filosofico). L’idea di un intervento soprannaturale è rigettato a priori, come pure qualunque spiegazione che punti in direzione opposta all’evoluzionismo. Non esistono specie “fisse”; le piante, e gli animali (tra i quali è incluso l’uomo) discendono da uno stesso organismo progenitore, che a sua volta ha avuto origine per caso dagli elementi chimici presenti nell’atmosfera primordiale.

Indubbiamente, riconoscere la teoria evoluzionistica come falsa, significherebbe dover prendere in considerazione l’unica altra possibilità: quella di una creazione che non è frutto del caso, ma prodotta e guidata da una volontà intelligente per uno scopo preciso, insieme a tutte le leggi che regolano l’universo.

Secondo questo modello, la vita, in tutte le sue sfumature ed espressioni, non è il frutto di processi naturalistici avvenuti per caso. Le piante, gli animali, e gli uomini sono stati creati come specie ben distinte, che non sono legate tra di loro da alcun tipo di parentela.

Big Bang
Per cercare di spiegare le origini dell’intero universo, con tutto quello che contiene, e le leggi che lo governano, gli evoluzionisti hanno postulato un evento noto come “Big Bang” (letteralmente, “grande esplosione”).
Secondo questa teoria – di cui esistono diverse varianti – tutta la massa e tutta l’energia dell’universo erano un tempo situate in uno stesso punto, ridotte a un volume infinitesimamente piccolo; o, per usare la definizione di un evoluzionista: “l’intero universo osservabile era più piccolo di un singolo atomo” (Crowell).

Questa condizione viene definita “Singolarità”; essa sarebbe poi esplosa dando origine alle galassie, ai singoli astri e pianeti, e in ultima analisi alla vita. Inoltre, l’esplosione avrebbe creato il tempo e lo spazio, che, stando a questa teoria, non esistevano prima del Big Bang.

Come si può notare, la condizione di Singolarità richiede – eppure non soddisfa – la nozione di ordine perfetto.
Per cercare di giustificare la tremenda densità della massa, si è ipotizzato che quest’ultima sia esistita sotto forma di idrogeno estremamente compresso; ciò, naturalmente, non spiega da dove e in che modo sia apparso l’idrogeno. Si può costatare che, in effetti, nessuna delle tante variazioni della teoria del Big Bang spiega in che modo abbia avuto origine la Singolarità, che costituisce una chiara violazione della legge della conservazione della materia e dell’energia (la prima legge della termodinamica stabilisce che l’energia e la materia non possono essere né create né distrutte: il loro stato può mutare, ma la loro quantità totale nell’universo è costante).

Affermare poi che la condizione di Singolarità si sia verificata perché lo spazio e il tempo non esistevano prima del Big Bang è mera tautologia definizionale. L’idea stessa che né lo spazio né il tempo siano potuti esistere prima del Big Bang, implica una condizione di stabilità; non essendovi alcuna possibilità di cambiamento, il Big Bang stesso non può essersi verificato.

Se all’espansione dell’ipotetico Big Bang va ascritta la formazione di galassie, stelle, pianeti, e la creazione di proteine, DNA, microrganismi in grado di replicarsi, fino alle forme di vita che sono conosciute oggi, è implicito un continuo incremento di organizzazione e complessità, di nuove informazioni; ciò è in netta contraddizione con le più elementari leggi della scienza.

Al di là di ogni altra possibile speculazione, resta poi il fatto che questa teoria non può essere confermata o esaminata sperimentalmente. Il Big Bang non è dunque altro che una speculazione, in bilico tra scienza e filosofia, e contraria ad alcune delle leggi fondamentali della scienza.

Radiazione di fondo e redshift
I sostenitori della teoria del Big Bang spesso ricorrono a due fenomeni che dovrebbero confermarla: l’esistenza della radiazione cosmica di fondo – risultante, ipoteticamente, dalla “grande esplosione” – e il redshift – che dovrebbe dimostrare l’allontanamento graduale delle stelle, e quindi provare che l’esplosione si è realmente verificata miliardi di anni fa.

La radiazione cosmica di fondo in realtà sembra semplicemente provenire dalle stelle e dalle galassie che ci circondano. Essa non proviene da un unico punto – cioè dalla presunta origine del Big Bang – ma è isotropa. Inoltre è notevolmente più debole di quanto previsto dalla teoria, presenta una temperatura molto inferiore a quella predetta, ed è eccessivamente uniforme.
Secondo William Corliss, “le recenti misurazioni delle fluttuazioni di densità nella radiazione cosmica di fondo a microonde non mostrano fluttuazioni maggiori di 2,5 parti su 100.000. Nessuna galassia potrebbe nascere da una fluttuazione tanto piccola – neppure in 15 miliardi di anni”.

L’altro fenomeno, il redshift, riguarda i moti di allontanamento delle galassie. Semplificando, il redshift è il fenomeno che fa apparire di colore più rosso gli oggetti che si allontanano dall’osservatore.
Se l’effetto Doppler fosse l’unica causa del redshift spettrale – come ritengono gli evoluzionisti – ciò dimostrerebbe che l’universo è in fase di espansione, per effetto dell’esplosione del Big Bang.

Ma esistono altre due cause di redshift confermate dalla scienza, che sono in grado di spiegare in modo più convincente il fenomeno: il graduale rallentamento della luce nel percorrere lunghe distanze, e la perdita di energia da parte della luce quando questa transita in prossimità di ampi campi gravitazionali come quelli delle stelle.

La predizione che la luce emessa da una sorgente dotata di forte campo gravitazionale debba tendere verso il rosso fu formulata da Albert Einstein, e verificata sperimentalmente da Walter Adams.
Peraltro, la ricerca sui redshift per effetto Doppler ha prodotto risultati non credibili: applicando questa teoria, i quasar risulterebbero eccessivamente luminosi (in base alla legge del quadrato inverso), e oltre 30 quasar scoperti recentemente si allontanerebbero da noi a un’impressionante velocità, fino a otto volte superiore a quella della luce.

Biogenesi: la nascita della vita
Secondo gli scienziati evoluzionisti, la “ricetta” per ottenere la vita è relativamente semplice: luce, acqua, calore, atmosfera, e molecole organiche.
Nelle particolari condizioni postulate dagli evoluzionisti, la vita sarebbe nata dagli elementi inerti presenti sulla Terra in seguito al Big Bang (abiogenesi).
Questa ipotesi è contraria alla legge della biogenesi di Pasteur, la quale prova che la vita può nascere soltanto dalla vita – e non, quindi, dalla materia inerte. Inoltre, la generazione spontanea della vita da materia inorganica non è mai stata osservata, indipendentemente dalle condizioni dell’ambiente o dalla quantità di tempo trascorso.

Alcuni evoluzionisti, per aggirare i problemi dell’abiogenesi, considerano come fatto assiomatico che una forma di vita in grado di replicarsi autonomamente sia esistita nel passato, omettendo però di spiegarne l’origine.
La stessa atmosfera primordiale postulata dalla teoria evoluzionistica presenta dei problemi.

Se non è esistito l’ossigeno, non può essere esistito l’ozono (che è un’altra forma molecolare dell’ossigeno). In assenza di uno strato di ozono a protezione della terra, le radiazioni ultraviolette prodotte dal sole avrebbero distrutto le forme di vita primordiali.
Se, invece, l’ossigeno è esistito nell’atmosfera, i primi amminoacidi non possono aver prodotto la vita, in quanto distrutti per ossidazione dall’ossigeno presente nell’atmosfera.

La teoria del cosiddetto “brodo primordiale”, sviluppata nella prima metà del 1900, prevede la nascita della vita dalle molecole organiche prodottesi spontaneamente nell’atmosfera per interazione degli elementi chimici con l’energia solare, e incubate dagli oceani.
Numerosi scienziati hanno provato a verificare in laboratorio questa teoria – Robertson e Miller, Rebek, Lee, e i ricercatori di Nagaoka – ma nessuno di questi esperimenti è riuscito a produrre risultati concreti che possano spiegare la complessità e l’elevato numero di informazioni dei polimeri che costituiscono gli organismi viventi.

L’esperimento Miller-Urey
L’esperimento di Miller e Urey è forse il più conosciuto, e tra i primi nel suo genere. Furono ricreate in laboratorio le condizioni primordiali ipotizzate: l’atmosfera era simulata da gas come metano, ammoniaca e idrogeno, mentre l’oceano era simulato da vapore acqueo. I gas furono fatti attraversare da scariche elettriche, e ne risultò la produzione di alcuni amminoacidi (composti organici).

Solitamente si pone l’enfasi sulla produzione degli amminoacidi, ma non viene dato risalto al fatto che in questo e in altri esperimenti simili furono prodotti miscugli racemici (in uguale quantità) di amminoacidi destrogiri e levogiri.
In natura quasi tutti gli amminoacidi che compongono le proteine sono levogiri, mentre gli acidi nucleici sono esclusivamente destrogiri. Non può nascere alcuna forma di vita da una qualunque combinazione di entrambi; anche un solo amminoacido destrogiro, aggiunto a una catena di amminoacidi levogiri, può modificare la proteina rendendola non attiva biologicamente.
Asserire che gli esperimenti abbiano prodotto la vita è quantomeno errato: per produrre delle proteine non è affatto sufficiente produrre qualche amminoacido, ma sono necessarie lunghe catene di amminoacidi ordinati nel modo corretto e nella forma esatta.

Oltre a ciò, gli esperimenti furono condotti con livelli inaccettabili di interferenza umana. Ad esempio, quella stessa fonte di energia utilizzata per produrre gli amminoacidi, li avrebbe distrutti se Miller non li avesse rimossi artificialmente.
Resta inoltre il problema di spiegare come i diversi elementi avrebbero potuto trovarsi aggregati in natura nella stessa area e combinarsi correttamente in proteine, anziché produrre semplicemente degli amminoacidi isolati.

Alcune riflessioni sulla biogenesi
La condizione richiesta perché gli amminoacidi possano formare delle proteine è un’alta concentrazione, mentre ambienti come l’oceano o l’atmosfera, al contrario, dovrebbero causare una diluizione. Inoltre, gli amminoacidi non hanno una tendenza naturale a formare proteine, ma al contrario, le proteine tendono a “scomporsi” in amminoacidi.
Le stesse fonti di energia che avrebbero dovuto formare le proteine (scariche elettriche, calore terrestre, radiazione solare) avrebbero distrutto la vita anziché crearla. Lo stesso Miller, che lavorò con energie di livello ben inferiore a quello dei fulmini, dovette ricorrere alla rimozione degli amminoacidi prodotti mediante trappola fredda, onde evitare la loro distruzione.

Anche ipotizzando che le proteine siano potute essere state prodotte da eventi casuali, non esiste la più remota possibilità di credere che esse abbiano potuto formare cellule viventi dotate di una membrana, di un proprio metabolismo, e in grado di riprodursi autonomamente. Nessuno scienziato ha mai dimostrato che questo aumento di complessità sia possibile e che possa essersi verificato, anche ipotizzando la presenza di un numero di proteine migliaia di volte superiore a quello proposto dagli evoluzionisti.

Selezione naturale
Per selezione naturale si intende il fatto che alcune varietà di organismi viventi riescono a contribuire più efficacemente di altre alle generazioni future mediante la propria prole.
La selezione naturale opera sulle caratteristiche preesistenti, ma non ne può produrre di nuove. La parola stessa “selezione” implica una riduzione, e non un incremento.

Un esempio è lo sviluppo di resistenza da parte dei batteri verso antibiotici come la Streptomicina. Molti, erroneamente, ritengono che tale resistenza sia frutto della “evoluzione” del batterio in risposta all’antibiotico. Questo tipo di mutazione consiste in modifiche nella superficie del ribosoma del microrganismo, una perdita di specificità che impedisce alla molecola dell’antibiotico di “agganciarlo” e produrre i suoi effetti. Non si tratta, quindi, di “evoluzione”, ma di perdita di informazioni.

La selezione non produce nuove funzioni, organi, o caratteristiche, né è in grado di giustificare il vertiginoso incremento di informazioni necessario per la macroevoluzione, in quanto implica sempre una perdita di informazioni, e mai un guadagno.

Mutazioni
Le mutazioni sono ritenute dagli evoluzionisti in grado di spiegare la discendenza comune di tutte le forme di vita da un unico antenato, mediante variazioni nel patrimonio genetico.

Si ha una mutazione quando si verifica un errore da parte di una cellula nel riprodurre il codice genetico. Sebbene la cellula sia in grado di correggere questi errori nei geni copiati, alcuni di essi possono non essere corretti.
L’effetto delle mutazioni è casuale: possono non produrre alcun effetto, o produrre effetti impercettibili, oppure avere effetti significativi sull’organismo.
Si tratta comunque di errori genetici, casuali, imprevedibili, non in grado di generare nuove caratteristiche.

Un esempio molto noto è la Drosophila melanogaster (il comune moscerino della frutta), allevata per decenni dai genetisti allo scopo di studiarne le mutazioni, e sottoposta anche a esperimenti con radiazioni ionizzanti allo scopo di produrre grandi quantità di mutazioni. Sono state identificate e osservate migliaia di mutazioni, inutili o dannose, ma nessuna di esse ha prodotto “nuovi” insetti o nuove caratteristiche.

Talvolta le mutazioni, unitamente alla selezione naturale, possono produrre effetti utili alla sopravvivenza di un organismo; un esempio sono gli insetti privi di ali osservati sull’isola di Madeira. Trattandosi di una regione ventosa, le ali avrebbero rappresentato uno svantaggio per la vita degli insetti. Probabilmente, dunque, gli insetti alati non sopravvissero a causa del vento e non poterono propagare i loro geni, mentre quelli privi di ali poterono contribuire in maniera significativa col proprio patrimonio genetico alle generazioni successive.

La selezione naturale, però, non aggiunge nuove informazioni al patrimonio genetico, ma le rimuove inevitabilmente. In assenza di vento, quegli insetti non potrebbero infatti riacquistare la funzione perduta.

Complessità
Molte molecole necessarie per la vita, come il DNA, l’RNA, e le proteine, hanno un grado di complessità tanto elevato che appare estremamente improbabile che possano essersi create mediante l’evoluzione. Inoltre, non esiste alcun supporto sperimentale per queste affermazioni.

Anche ammesso che siano passati miliardi di anni dalla nascita della vita ad oggi, la teoria evoluzionistica non è in grado di spiegare come si possa ottenere mediante l’evoluzione l’impressionante complessità del cervello umano, con i suoi oltre centomila miliardi di connessioni, oppure quella dell’occhio, del sistema uditivo, o del cuore.

La complessità dell’organizzazione delle cellule eucariote è tanto superiore a quella delle procariote che è alquanto arduo immaginare come possa essere stata possibile l’evoluzione da batterio a piante, animali e uomini (Hickman, Bergman, et al).

Inoltre, tutte le forme di vita conosciute, dal più semplice microrganismo all’essere umano, utilizzano per il trasporto dell’energia l’ATP, una molecola di complessità irriducibile in quanto non può funzionare se semplificata (Behe).
Come possa essere sopravvissuta anche la più semplice forma di vita primordiale senza questa molecola è un’altra domanda alla quale i sostenitori dell’abiogenesi devono rispondere.

Il DNA stesso non può funzionare senza almeno 75 proteine (di cui 55 solo per i ribosomi), che sono però prodotte solo dal DNA, in quanto il loro codice genetico è trasportato proprio dalle molecole degli acidi nucleici (Dickerson, Scientific American, settembre 1978). L’uno necessita dell’altro, eppure l’uno non può essere esistito, o essersi evoluto, prima dell’altro.
La teoria evoluzionistica, rifiutando l’esistenza di un creatore, non fornisce una risposta alternativa a questo quesito.

La ricerca ha dimostrato che alcune molecole di RNA hanno la capacità di funzionare da enzimi; comunque esse non sono in grado di replicarsi autonomamente, quindi non è possibile utilizzare questo argomento nelle ricerche in senso evoluzionistico (Joyce, Orgel).

Termodinamica classica: considerazioni
Ilya Prigogine, Nobel per la fisica per il suo lavoro sulla termodinamica, ha affermato che “…la probabilità che a temperature ordinarie un numero macroscopico di molecole si sia assemblato per dare vita alle strutture estremamente ordinate e alle funzioni coordinate che caratterizzano gli organismi viventi è praticamente nulla”.

La prima legge della termodinamica stabilisce che massa ed energia non possono essere create o distrutte. Massa ed energia possono mutare, l’una può essere convertita nell’altra, ma la quantità totale di massa ed energia rimane costante. Non è quindi possibile che l’universo, e con esso la vita, siano “apparsi” per caso.

In base alla seconda legge della termodinamica è possibile affermare che esiste una naturale tendenza in tutti i sistemi osservati lasciati a se stessi, a dissipare energia e organizzazione, e a passare dunque dall’ordine al disordine.
Anziché tendere verso il grado di organizzazione e complessità della terra, degli astri, e di ogni forma di vita conosciuta, ogni cosa tende dunque verso un graduale disordine.

L’incremento di informazione e di organizzazione postulati dagli evoluzionisti, in quanto indispensabili alla nascita della prima forma di vita e alla sua evoluzione da microrganismo verso forme di vita sempre più organizzate, è una palese violazione di questa legge.

Né la selezione naturale, né la riorganizzazione delle informazioni nel patrimonio genetico, né l’influenza di fattori dell’ambiente esterno possono produrre un incremento di informazione o di organizzazione; nessuno di questi fattori è adeguato a spiegare la diversità e la complessità delle forme di vita esistenti.

Spesso gli evoluzionisti obiettano che la seconda legge della termodinamica si applica solo ai sistemi chiusi (isolati), e che la Terra è invece un sistema aperto, in quanto il sole costituisce una fonte di energia esterna.
Un sistema aperto, in realtà, non è per se stesso condizione sufficiente a mantenere l’ordine; l’energia ricevuta dal sole è incontrollata, quindi anziché generare organizzazione, accelera l’entropia (degradazione). Non è sufficiente che vi sia energia; essa deve essere convertita in energia utilizzabile, come ad esempio avviene per le piante.

Esistono casi speciali – come la cristallizzazione – in cui l’ordine locale può aumentare; ciò avviene, però, a spese di altre zone dove esso decresce. Tutti i sistemi, aperti o chiusi, tendono dunque a deteriorarsi.
George Simpson, tra i più famosi scienziati evoluzionisti, ha confermato che “la semplice erogazione di energia non è sufficiente per sviluppare e mantenere l’ordine”.

John Ross, ricercatore evoluzionista dell’università di Harvard, ha scritto: “…non esistono violazioni conosciute della seconda legge della termodinamica. È consuetudine applicare la seconda legge ai sistemi isolati, ma la seconda legge si applica ugualmente bene ai sistemi aperti”.
E, riferendosi alla nozione che la seconda legge non si applica ai sistemi aperti, aggiunge: “È importante accertarsi che questo errore non sia ripetuto” (Chemical and Engineering News, Luglio 1980).

È dunque necessario l’intervento di un’intelligenza esterna al sistema perché sia possibile giustificare la creazione tanto della materia inanimata quanto della vita, e l’incremento di informazione e di ordine necessari a spiegare tutto quello che è possibile osservare nell’universo.

I fossili e l’evoluzione
Se la vita si è continuamente evoluta da una specie all’altra, come sostengono gli evoluzionisti, dovrebbero essere stati rivenuti miliardi di fossili di transizione tra tutte le specie viventi, ovvero forme di vita per così dire intermedie in cui si possa constatare l’evoluzione di un tratto (ad esempio un organo o un arto) in un altro.

Pur essendo stato scoperto fino ad oggi un numero elevatissimo di fossili, però, non sono state trovate le forme di transizione indispensabili per convalidare la teoria evoluzionistica; in particolare le transizioni dalla materia inorganica ai metazoi, dai metazoi agli invertebrati, dagli invertebrati ai pesci, dai pesci agli anfibi, dagli anfibi ai rettili, dai rettili agli uccelli, dagli uccelli ai quadrupedi, dai quadrupedi alle scimmie, e dalle scimmie all’uomo.

Gli unici cambiamenti che possono essere osservati nei fossili implicano semplicemente delle variazioni all’interno della specie in esame.
Esistono tuttavia diverse speculazioni in merito: le sequenze ottenute disponendo in un ordine immaginario fossili appartenenti a specie diverse, sono molto note e ritenute verità scientifiche da eminenti scienziati, riviste scientifiche e virtualmente da tutti i libri di testo; si tratta in realtà di mere congetture non supportate da alcun dato di fatto.

Patterson, evoluzionista, ha affermato: “È facile inventare storie su come una forma abbia dato origine a un’altra… Ma tali storie non fanno parte della scienza, poiché non c’è modo di sottoporle a verifica”.
Lo stesso Charles Darwin ammise: “…devono essere esistite innumerevoli forme di transizione, perché non le troviamo in grandissime quantità? …perché non ne sono piene tutte gli strati e le formazioni geologiche? …questa forse è l’obiezione più ovvia e seria che si possa fare contro la teoria [dell’evoluzione]”.

Darwin ritenne allora che la mancanza di forme di transizione fosse da attribuire al numero insufficiente di fossili raccolti fino a quel momento, e predisse che sarebbero state trovate col tempo. A 150 anni da allora, con oltre 200 milioni di campioni catalogati appartenenti a circa 250.000 specie fossili, molti paleontologi evoluzionisti, come Stanley, ritengono che il numero di fossili raccolti sia sufficiente (Bird).

Secondo Stanley, un affermato evoluzionista, “le testimonianze fossili non hanno documentato un singolo esempio di evoluzione filogenetica risultante in una transizione morfologica visibile, e pertanto non offrono alcuna evidenza che il modello gradualistico possa essere ritenuto valido”.

Gli fa eco un altro evoluzionista, Kitts: “le testimonianze fossili non forniscono neppure una prova in supporto della teoria darwiniana, tranne che esse nel senso più debole sono compatibili con tale teoria, come anche con altre teorie evoluzionistiche, rivoluzionarie… e addirittura con quelle non storicamente compatibili”.

Molti altri noti scienziati evoluzionisti – come Simpson, Gould, Cutler, Ridley, Raup, Eldredge, West – hanno espresso i propri dubbi sul modello gradualistico, asserendo che non esistono prove di transizioni morfologiche tali da confermare la macroevoluzione, o semplicemente limitandosi a constatare la mancanza di prove verificabili.

“Contrariamente a quanto molti scienziati affermano, i fossili non confermano la teoria darwiniana dell’evoluzione, perché è questa la teoria che noi usiamo per interpretare i fossili raccolti” (West).

Ma le specie di transizione non sono gli unici “anelli mancanti” dell’evoluzionismo: affinché una specie si sia evoluta in un’altra, come ipotizzato, è necessario che le transizioni abbiano interessato anche gli organi.

Tra le tante specie osservabili non esistono esempi di elementi parzialmente sviluppati come occhi, organi vitali e apparati interni o esterni. La sopravvivenza di un organismo in queste condizioni, tanto oggi quanto in passato, sarebbe impossibile (Szent-Gyorgyi, biochimico, due volte premio Nobel), e anche se fosse vissuto sarebbe morto rapidamente, o isolato dalla selezione naturale, e dunque impossibilitato a trasmettere i propri geni alle nuove generazioni.

Equilibri punteggiati
Gould, notissimo paleontologo e fermo sostenitore dell’evoluzionismo, ammise l’infondatezza dell’evoluzione graduale postulata da Darwin, che definì “frutto dei pregiudizi politici e culturali del diciannovesimo secolo”.
Eldredge, evoluzionista e collaboratore di Gould, affermò che era diventato “abbondantemente chiaro” che le testimonianze fossili non avrebbero potuto confermare la predizione di Darwin, e che dimostravano semplicemente che questa predizione era errata.

Eldredge ammise: “Sono i paleontologi – la mia stessa razza – ad essere i maggiori responsabili di aver lasciato che idee come queste dominassero la realtà… Noi paleontologi abbiamo detto che la storia della vita supporta quell’interpretazione [variazioni graduali per adattamento], pur sapendo che non è così”.

Gould e Eldredge proposero allora una teoria alternativa, quella degli equilibri punteggiati.
Essa consiste, sostanzialmente, nell’interpretare le testimonianze fossili in modo da dimostrare che le varie specie siano esistite per lunghi periodi senza variazioni significative (fase di equilibrio). Quando un piccolo gruppo di individui si separava dal resto dei suoi simili e si trasferiva in un nuovo ambiente, avveniva rapidamente il cambiamento in senso evoluzionistico (fase di puntualizzazione).
Esistono anche altre teorie simili a quella degli equilibri punteggiati – ad esempio la speciazione quantica di Simpson – elaborate per giustificare le discontinuità registrate dalla documentazione paleontologica.
In tutte, comunque, è riscontrabile ancora lo stesso problema: l’assenza di forme di transizione. Peraltro, proprio i lunghi periodi di stabilità presupposti implicano un’abbondantissima presenza di fossili di transizione.

Fossili di transizione: dalla scimmia all’uomo?
L’interpretazione delle testimonianze fossili viene invariabilmente influenzata dalle presupposizioni degli esaminatori; nel caso degli evoluzionisti, il presupposto è che l’evoluzionismo sia un dato di fatto. Ogni cosa deve allora in qualche modo essere forzata a fare parte di quello schema prestabilito.
Il cosiddetto “uomo di Piltdown” (eoanthropus), rappresentato per decenni nei libri di testo, si rivelò essere nient’altro che una mistificazione (cf. The Piltdown Forgery).

Lewin, evoluzionista, commentò: “Come può accadere che degli scienziati, i più grandi esperti del loro tempo, osservino dei pezzi di ossa umane moderne – i frammenti del cranio – e ‘vedano’ in essi la chiara prova di qualcosa di scimmiesco; e ‘vedano’ nella mascella di una scimmia i segni inconfutabili dell’essere umano? La risposta, inevitabilmente, ha a che fare con le aspettative degli scienziati e il loro effetto sull’interpretazione dei dati”.

Il successo di questa frode, perpetrata per più 40 anni, nonostante le ricerche delle più grandi autorità mondiali, spinse Zuckerman a dire: “C’è da chiedersi se vi sia qualcosa di scientifico nella ricerca delle origini umane nei fossili”; “…per uno scienziato la cui immaginazione è accesa dal desiderio di trovare antenati [dell’uomo], le variazioni tra i fossili di scimmia sono sufficienti a far sì che egli scelga delle caratteristiche in un fossile di scimmia e decida che esse sono ‘pre-umane'”.

Anche l’hesperopithecus, detto anche “uomo del Nebraska”, considerato una “prova irrefutabile delle origini animali dell’uomo”, fu ricostruito dall’immaginazione degli scienziati basandosi sull’unico resto: un dente, che si rivelò poi essere quello di un pecari (animale simile al cinghiale) estinto.
Richard Leakey – famoso antropologo evoluzionista, e figlio di quegli stessi Leakey che scoprirono i frammenti di quello che fu battezzato “homo habilis” (che si rivelò essere un australopithecus) – alcuni anni fa affermò: “Ad oggi, non è stato scoperto niente che abbia veramente senso come specie di transizione verso l’uomo, inclusa ‘Lucy’, dal momento che il 1470 [il teschio di un homo sapiens scoperto da Leakey] era della stessa età e probabilmente anche più vecchio. Se dovessi esprimere un giudizio, affermerei che esiste più evidenza per la comparsa improvvisa dell’uomo piuttosto che per un processo graduale di evoluzione”.

Il ritrovamento di un altro presunto intermedio uomo-scimmia, il ramapithecus, consisteva in qualche dente e frammenti di mascella, messi insieme dai ricercatori in modo da avere una forma somigliante a quella della mascella umana. I resti fossili rinvenuti nel 1982 e nel 1988 dimostrarono che il ramapithecus era soltanto un antenato estinto dell’orangutan. In particolare, fu rinvenuta una mascella completa di ramapithecus: la forma non era quella presunta (parabolica), ma a forma di U, tipica delle scimmie.
David Pilbeam, noto paleontologo evoluzionista dell’Università di Harvard, scrisse: “Molti paleontologi ritengono che il ramapithecus sia il nostro più antico antenato. Queste conclusioni sono state tratte da nient’altro che qualche osso della mascella e qualche dente. A onor del vero, sembra non essere niente di più che un parente dell’orangutan”. Alle stesse conclusioni giunsero Leakey, Zilman e Lowenstein.

Lo scheletro del conosciutissimo “uomo di Neanderthal” (homo sapiens neanderthalensis) – il cosiddetto “anello di congiunzione tra i primati e l’uomo” – fu ritenuto a lungo un uomo-scimmia, fino a quando studi successivi non dimostrarono che la sua capacità cerebrale era addirittura superiore a quella dell’uomo moderno.
Recenti ricerche effettuate con l’ausilio della microscopia elettronica hanno rivelato che si tratta semplicemente dello scheletro di un uomo con gravi deformazioni a carico dell’apparato osseo.
L’uomo di Neanderthal, l’uomo di Heidelberg, e l’uomo di Cro-Magnon sono oggi considerati dalla scienza esseri umani e non intermedi (Straus, Cave, Rothschild, Thillaud).

Il pithecanthropus erectus (homo erectus), o “uomo di Java”, scoperto da Eugene Dubois, era in realtà un gibbone, come ammise lo stesso Dubois, a distanza di qualche decennio, ammettendo inoltre di aver tenuto nascosti altri quattro femori di scimmie trovati nella stessa area.
Gli evoluzionisti, comunque, rifiutarono di accettarlo, e ancora oggi ritengono che il pithecanthropus sia un “intermedio”, nonostante il fatto che gli scienziati moderni abbiano confutato quest’affermazione.

I resti fossili di un altro homo erectus, il sinanthropus, o “uomo di Pechino”, consistevano in frammenti di teschi, denti e mascelle, trovati anche molto distanti gli uni dagli altri.
I fossili furono oggetto di studi approfonditi, anche da parte di autorità internazionali come Marcellin Boule, il quale concluse che il sinanthropus era un animale – probabilmente una grande scimmia o un babbuino – di cui si erano cibati degli uomini.

Tra l’altro, è interessante notare che del finanziamento del progetto si era occupato De Chardin, già implicato nella frode dell’uomo di Piltdown.
Tra gli altri esempi di presunti intermedi uomo-scimmia, sempre basati su pochi resti, è possibile citare il pliopithecus e il proconsul, inspiegabilmente ritenuti ominidi perché sembravano incroci tra due specie di scimmie; il dryopithecus, basato su frammenti di mascella che più tardi furono riconosciuti come appartenenti a una scimmia estinta; l’oreopithecus, basato sui resti di denti e della zona pelvica.

Inoltre, i vari australopitechi, studiati per 15 anni da un team di scienziati che concluse che non hanno caratteristiche umane. Zuckerman – uno dei maggiori studiosi di questo fossile – affermò che si trattava di una scimmia, “…al punto che solo un esame minuzioso e approfondito può rivelare una qualunque minima differenza tra le scimmie moderne e l’australopithecus”.

Agli australopitechi appartengono, in particolare: l’australopithecus africanus (il teschio di una scimmia in cui non erano del tutto evidenti le caratteristiche a causa della giovanissima età), l’australopithecus robustus e l’australopithecus boisei (teschi che presentavano caratteristiche tipiche delle scimmie ma non degli esseri umani) e l’australopithecus afarensis (basato solo su alcuni frammenti trovati in luoghi differenti, e di cui Johanson, il suo scopritore, inizialmente scrisse che non aveva dubbi sul fatto che non fosse un essere umano: “semplicemente, non lo era; era troppo minuta; il suo cervello era troppo piccolo, e la forma della mascella non era adatta”).

Recenti ricerche sulla dentizione e sulla locomozione, effettuate da Jungers, Bromage, Smith, Vannier, e Conroy, hanno confutato l’opinione diffusa che si tratta di “progenitori” dell’uomo. In merito a queste ricerche, Dean Falk commentò: “Sebbene ci siano ancora alcuni che si ostinano a ritenere pseudo-umani gli australopithecus, la loro opinione non rappresenta più la maggioranza”.

Dall’analisi delle caratteristiche dell’homo ergaster, dell’homo erectus, dell’homo heidelbergensis, e dell’homo neanderthalensis, si può concludere che si tratta soltanto di varianti razziali dell’uomo moderno, mentre è stato dimostrato che l’homo rudolfensis e l’homo habilis erano varietà di australopithecus.

Fossili di transizione: uccelli, rettili, anfibi
La più famosa scoperta di una ipotetica forma di transizione è forse l’archaeopteryx, il cosiddetto “anello mancante fra i rettili e gli uccelli”. Esso presenta alcune caratteristiche comuni a entrambe le specie: i denti, tipici dei rettili, e ali, tipiche degli uccelli.
Gli studi più recenti nel campo della biologia hanno dimostrato che anche gli uccelli hanno capacità embrionali di sviluppare i denti. Inoltre, vari uccelli estinti avevano i denti, mentre vari rettili non ne avevano, e nell’archaeopteryx non solo la mandibola, ma anche la mascella era mobile, come accade negli uccelli. Le ali, infine, erano del tutto sviluppate.

Alan Feduccia – evoluzionista, tra i massimi esperti di ornitologia – affermò: “I paleontologi hanno cercato di trasformare l’archaeopteryx in un dinosauro piumato che cammina. Ma non lo è. È un uccello. E nessun quantitativo di chiacchiere può cambiare questo fatto”… “È biofisicamente impossibile che il meccanismo del volo si evolva da bipedi tanto grandi [rettili e dinosauri] con gli arti anteriori scorciati e le code pesanti usate per bilanciarsi; esattamente l’anatomia sbagliata per il volo”… “In definitiva, trovo che l’intera faccenda del dinosauro-uccello sia una vera e propria frode”.

L’affermazione che l’archaeopteryx è un uccello e non un rettile è corroborata anche altri scienziati evoluzionisti come Rayner, Olson, Whetstone, Tordoff, Walker, Martin, Chatterjee e Benton. Quest’ultimo concluse che “[alcuni] dettagli della scatola cranica e delle ossa ad essa associate sul retro del cranio sembrano suggerire che l’archaeopteryx non è l’uccello ancestrale, ma un antico progenitore della famiglia aviaria”.

Un altro presunto fossile di transizione è l’archaeoraptor, di cui lo stesso Xing (uno dei paleontologi che per primi esaminarono il fossile) recentemente ha sollevato il dubbio che si tratti di un mero mosaico “composto da una coda di dromaeosaurus e il corpo di un uccello”. Rispondendo a Xing, il National Geographic ha confermato che le affermazioni di Xing sono state corroborate dalle ricerche approfondite di diversi scienziati (National Geographic, marzo 2000).

Derstler, paleontologo, ha osservato che il mercato dei fossili di uccelli (come l’archaeoraptor e il sinosauropteryx), molto florido in Cina, ha portato gli agricoltori locali a produrre fossili realistici che egli stesso definisce “semplici da realizzare e molto difficili da riconoscere”, come confermano anche altri paleontologi.

Martin, riferendosi a “mosaici” come l’archaeoraptor, ha commentato: “Non mi fido di questi campioni fino a quando non li vedo ai raggi X”. Infatti, le giunture accomodate, non visibili in superficie, possono essere rivelate dai raggi X. Martin aggiunge che “l’intero mercato commerciale dei fossili è crivellato di contraffazioni”.

Fino a qualche tempo fa si riteneva che gli embrioni dei mammiferi possedessero delle “fessure branchiali”, in quanto, secondo la teoria dell’evoluzione, i mammiferi si sono evoluti dagli anfibi.
Il tessuto embrionale che assomiglia a delle fessure in realtà non ha nulla a che fare con la respirazione; non si tratta cioè né di branchie, né di fessure. Questo tessuto si sviluppa in parti della faccia, ossa dell’orecchio interno, e ghiandole endocrine.

Le somiglianze tra alcuni embrioni e le forme adulte degli animali più semplici non sono più considerate dagli embriologi come prova dell’evoluzione. Questo metodo fu ideato e diffuso da Ernst Haeckel, che falsificò deliberatamente i suoi schemi; essi appaiono ancora oggi nei moderni libri di testo, diffondendo una falsa idea dell’evoluzione.

Un altro tipo di transizione che presenta non pochi problemi è quella dagli anfibi ai rettili. Esistono grandi differenze tra i loro organi interni, che riguardano in particolar modo l’apparato circolatorio e quello riproduttivo.
I resti del pakicetus, descritto come “la più antica balena fossile conosciuta”, consistono in nulla di più di qualche dente, due frammenti di mascella, e parte del teschio di un mammifero. Si tratta dunque dell’ennesima ricostruzione speculativa basata su pochi elementi, ripresa dagli autori dei libri di testo che presentano con disegni di improbabili ricostruzioni complete di questo e altri fossili.

Il meccanismo uditivo del pakicetus non era affatto quello di un animale acquatico, ma era bensì quello di un mammifero terrestre. Va anche notato che l’intera parte lombare, pelvica e caudale furono ricostruite arbitrariamente partendo da una vertebra lombare, un femore (entrambi rinvenuti distanti dagli altri resti fossili), un piccolo pezzo di tibia, e qualche osso del piede e delle dita del piede. Mancano, dunque, proprio gli elementi dello scheletro necessari a confermare la presunta transizione da mammifero terrestre a balena; pertanto, non è possibile valutare in modo critico l’ipotesi della transizione.
Infine, secondo i metodi di datazione utilizzati dagli evoluzionisti, il pakicetus risalirebbe a un’epoca successiva a quella di alcune balene, riducendo così ulteriormente la possibilità che possa essere un loro antenato.

Il basilosaurus è un altro fossile ritenuto una forma di transizione tra i mammiferi e le balene. Si tratta di un mammifero acquatico, lungo circa 25 metri, con forma simile a quella di un serpente, e munito di piccoli arti posteriori che probabilmente erano di supporto nell’accoppiamento. Questa creatura, comunque, era completamente acquatica, e la forma del suo corpo dimostra che non era più antico delle balene che esistono oggi, quindi non può rappresentare una forma di transizione.

Anche l’ipotizzata evoluzione del cavallo è il risultato dell’interpretazione dei dati, come dimostrato in dettaglio da Walter Barnhart.
L’incremento del numero delle costole, spesso usato per dimostrare l’evoluzione del cavallo, in realtà è soggetto a variazione all’interno della specie: l’ehoippus ne possedeva 18 paia, il drohippus solo 15, nel pliohippus raggiunsero le 19 paia, per scendere poi a 18 nell’equus scotti.
George Simpson, famoso scienziato evoluzionista, scrisse: “L’uniforme e continua trasformazione dell’hyracotherium in equus, tanto cara ai cuori di generazioni di autori di libri di testo, non è mai avvenuta in natura”.

Organi residuali
Gli evoluzionisti ritengono che alcuni organi, che essi definiscono vestigiali, o residuali, sono il risultato dell’evoluzione. Si tratterebbe di organi che non servono più all’individuo, e sono pertanto privi di funzioni.
Anche se questo fosse vero, non proverebbe l’evoluzione, ma l’esatto contrario. Per supportare la teoria dell’evoluzione, è necessario trovare nuovi organi in via di sviluppo, in cui cioè si sta verificando un incremento della complessità.

La storia, comunque, ha dimostrato la falsità di quest’argomentazione. La scienza moderna ha rivelato le funzioni dei più di cento organi che si credeva fossero residuali, come la tiroide, l’appendice, o le tonsille (Bergman, Howe).
Altre parti del corpo, come ad esempio le ali degli uccelli che non sono in grado di volare, sono fornite di muscoli funzionali, e servono a fornire raffreddamento o riscaldamento, equilibrio, rituali di corteggiamento, difesa dai predatori, protezione del corpo, o protezione dei pulcini.
La mancanza di funzionalità degli arti negli uccelli e in altri animali è anche spiegabile con la perdita di caratteristiche (possibile, e contrapposta all’incremento richiesto dall’evoluzione), o in alcuni casi è semplicemente il risultato di quella che viene definita “economia di progettazione”.
Anche la parte del DNA ritenuta inutile o ridondante ha iniziato a rivelare le sue funzioni, come hanno dimostrato gli studi di Wieland.

Secondo Walkup, genetista molecolare, “gli evoluzionisti ritengono che il DNA ‘spazzatura’ sia DNA inutile rimasto dalle passate permutazioni evolutive… Ma ora molte delle sequenze del DNA prima ritenute spazzatura hanno iniziato a ottenere nuova attenzione per il loro ruolo nella struttura e nella funzione del genoma, nella regolazione dei geni e nella speciazione rapida”.
Similmente, la rivista Science ha commentato: “Molti ricercatori ritengono che alcune delle scoperte più intriganti possano provenire dalle aree un tempo ritenute di ‘scarto’ genetico”.

Ordine
Come è stato visto, esistono numerose e profonde differenze tra la complessità organizzata risultante dall’ipotetico Big Bang e l’ordine osservabile ovunque nell’universo.

Le “coincidenze” che hanno reso possibile l’esistenza e lo sviluppo della vita sulla Terra – ma non sugli altri pianeti – sono fin troppe per essere tali, e anche per essere elencate. Può essere tuttavia interessante ricordarne qualcuna.
La velocità di rotazione della Terra, ad esempio, è quella che regola l’apparire del giorno e della notte. Se essa fosse inferiore a quella attuale, la durata del giorno e della notte aumenterebbero, distruggendo la vita durante il giorno a causa del calore intenso, e di notte a causa del freddo prolungato.

Se la distanza tra il sole e la Terra o il calore emesso fossero maggiori o minori, la Terra sarebbe troppo calda o troppo fredda per permettere la vita. Se la luna fosse più vicina alla Terra, le maree inonderebbero ogni luogo. Se l’atmosfera fosse meno spessa, milioni di meteoriti anziché essere distrutti cadrebbero sulla Terra, devastandola. Se l’ossigeno disponibile nell’atmosfera e assorbito dall’acqua fosse molto di meno, la vita non potrebbe esistere. Se la Terra fosse piccola, la forza di gravità sarebbe troppo debole per consentire la presenza dell’atmosfera; se fosse grande, la gravità schiaccerebbe ogni essere vivente al suolo. Se lo strato di ozono fosse troppo spesso, la Terra non riceverebbe sufficiente calore; se fosse troppo sottile, i raggi ultravioletti distruggerebbero ogni forma di vita.

Le cellule viventi contengono migliaia di sostanze diverse che reagirebbero tra di loro se non esistesse un intricato sistema di barriere chimiche e altri apparati che non possono essersi evoluti, o devono averlo fatto al momento giusto e con grande precisione, per evitare dannose reazioni chimiche. Se le cariche elettromagnetiche fossero leggermente più deboli o più forti, non potrebbero formarsi i legami chimici; nel primo caso di avrebbe il decadimento dei protoni, e nel secondo sarebbe impossibile l’esistenza di qualunque elemento chimico, ad esclusione del solo idrogeno.

Citazioni
“Se io, come geologo, fossi chiamato a spiegare brevemente le nostre idee moderne sulle origini della Terra e sullo sviluppo della vita, a persone comuni, semplici, come quelle a cui era rivolto il Libro della Genesi, non riuscirei a fare meglio che seguire molto da vicino il linguaggio del primo capitolo della Genesi” (Pratt, evoluzionista).

“Popper avverte di un pericolo: ‘Ogni teoria, anche una teoria scientifica, può diventare una moda intellettuale, un sostituto per la religione, un dogma dietro cui trincerarsi’. Questo è stato certamente vero per la teoria evoluzionistica” (Patterson, evoluzionista).

“Più si studia la paleontologia, più ci si rende conto che l’evoluzione è basata solo su una fede” (More, evoluzionista).

“La teoria darwiniana, modificata ma ancora caratteristica, è diventata essa stessa un’ortodossia, predicata dai suoi aderenti con fervore religioso, e dubitata, essi credono, solo da pochi confusi, imperfetti nella fede scientifica” (Grene, evoluzionista).

“È possibile distinguere solo due motivi per cui le persone possano voler credere che le specie hanno avuto origine grazie all’evoluzione: o si è dediti in modo religioso o filosofico all’idea dell’evoluzione, oppure non si è a conoscenza dell’evidenza scientifica. La maggior parte delle persone che aderiscono all’evoluzionismo ricadono nella seconda categoria. Quelli che lo insegnano e lo promuovono, alla prima categoria” (Garrett).

“L’evoluzione è diventata, in un certo senso, una religione scientifica; quasi tutti gli scienziati l’hanno accettata e molti sono pronti a ‘piegare’ le loro osservazioni per farle combaciare con essa… Penso, comunque, che dobbiamo andare oltre, e ammettere l’unica spiegazione plausibile è la Creazione. So che questo è inaccettabile per dei fisici, come lo è per me, ma non dobbiamo rifiutare una teoria che non ci piace se esiste l’evidenza sperimentale la supporta” (Lipson, Physics Bulletin, 1980).

“La scienza ha rinunciato alla ricerca dell’armonia e, con passione che certamente nasconde un sottile demonismo, si è lanciata alla ricerca del caos, alla adorazione del disordine e del nulla primigenio” (Giuseppe Sermonti, ex presidente dell’Associazione Genetica Italiana e vice presidente del XIV Congresso internazionale di Genetica).

L’imbroglio dell’evoluzione

(N.d.r. Ricevo e pubblico il seguente studio, nel quale manca però il nome dell’autore)
Un giovane, che recentemente ha seguito un corso di antropologia presso l’Università della Florida, mi ha detto di essere rimasto molto sorpreso quando il suo professore, alla fine del semestre, ha avuto l’onestà di dichiarare a tutta la classe che quanto egli aveva detto nel corso del semestre non era altro che pura speculazione; che non c’era un solo fatto concreto sul quale poggiare le sue affermazioni.

Nella sua opera “Vita sul Mississipi”, Mark Twain ha scritto: “Vi è qualcosa di affascinante nella scienza: Vi si ottengono così importanti profitti in congetture partendo da un misero investimento di fatti reali”. Io sono convinto che non c’è alcun campo della scienza in cui ciò maggiormente si verifichi quanto nella cosiddetta “scienza” dell’evoluzione.

Pertanto, parafrasando il titolo di una trasmissione televisiva, vorrei parlarvi delle pastette e delle panzane dei fautori dell’ipotesi evoluzionista. Tuttavia, parlando dell’evoluzione, bisogna dire che si è di fronte a più che semplici panzane: a volte si tratta di vere e proprie soperchierie dolose. Uno dei fatti sconcertanti legati alla comparsa del darwinismo è che esso ha introdotto nella scienza un elemento di disonestà, che in precedenza si sarebbe ritenuto inconcepibile.

Vorrei qui citare il dr. W.R. Thompson, entomologo di fama mondiale e direttore per molti anni del Commonwealth Institute of Biological Control di Ottawa. Il prestigio del dr. Thompson in campo scientifico era tale che, nel 1959, egli fu scelto perché dettasse la prefazione all’edizione del centenario de “L’origine delle Specie” di Darwin.

Tale prefazione è senz’altro un attacco frontale all’ipotesi evoluzionista, dovuto alla penna di uno dei più grandi scienziati del mondo. Essa merita d’essere letta. Vi è detto fra l’altro:
“Questa situazione in cui degli uomini si uniscono per difendere una dottrina, che essi non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare con tutto il rigore scientifico, ma che essi cercano di accreditare presso il pubblico sopprimendo le critiche ed eliminando le difficoltà, questa situazione nella scienza è anormale e sgradita”. E più avanti egli afferma: “Il successo del darwinismo ha avuto come corollario un declino della probità scientifica”.Il dr. T.N. Tahmisian, fisiologo presso la Commissione per l’Energia Atomica dell’Unione Europea (EURATOM), ha dichiarato:“ Gli uomini di scienza che vanno di qua e di là ad insegnare che l’evoluzione fa parte della vita, sono grandi scienziati? Essi non sono altro che dei grandi truffatori, e la storia che raccontano è forse la più grande mistificazione mai conosciuta.”

Esaminiamo dunque questa storia e vediamo se essa è un fatto scientifico, o se non è piuttosto la più grande delle mistificazioni; vediamo se fra le pastette e le panzane non troviamo effettivamente numerose prove del declino della probità scientifica e della comparsa sulla scena, giusto per sostenere una teoria, di ciò che si è sempre chiamato puramente e semplicemente una frode.

La teoria della ricapitolazione embrionale
Quelli che hanno cognizioni scientifiche più approfondite si ricorderanno della legge della biogenetica, formulata da Ernst Haeckel. Egli fu uno dei primi sostenitori della teoria della ricapitolazione embrionale o, per usare un’espressione più comune, dell’ipotesi secondo la quale “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”. In altre parole: lo sviluppo del feto nel grembo materno passa per tutte le tappe del “phylum”. Da un’unica cellula esso diventa multicellulare… poi assume la forma d’un pesce con le branchie… poi quella d’una scimmia con la coda… ed infine diventa un essere umano, avendo così ricapitolato tutti i supposti stadi della storia immaginaria dell’evoluzione umana.

Fu nel XIX secolo che il professore tedesco Ernst Haeckel ideò questa teoria. Egli era un convinto sostenitore di Darwin. Tuttavia, alcuni anni dopo, esaminando attentamente i suoi abbozzi del feto, e alla luce di una conoscenza del feto che nel frattempo s’era approfondita, vi si scoprirono delle alterazioni e delle deformazioni che risultarono intenzionali. Haeckel fu deferito al tribunale dell’Università di Jena che lo giudicò colpevole. Egli riconobbe le proprie falsificazioni, operate con l’intento di sostenere il dogma dell’evoluzione. Inoltre egli aggiunse:
“Mi ritengo colpevole al cento per cento… senonché centinaia dei migliori ricercatori e biologi dovrebbero subire la medesima condanna.”

La cosa tragica è il dover constatare che quest’ipotesi della ricapitolazione embrionale continua ad essere insegnata in molte scuole, sebbene la sua falsità sia un fatto assodato da molti anni. Un esempio: una quindicina d’anni fa, un professore di biologia dell’Università della “Broward Community” e il dr. Robert Strong, un pastore invitato dalla nostra chiesa per una serie di conferenze teologiche, parteciparono ad un dibattito “evoluzione – creazione”. Il past. Strong fece praticamente a pezzi gli argomenti evoluzionisti, a tal punto che il professore alla fine, messo alle strette, affermò: “Io baso tutta la mia argomentazione sull’incontrovertibile evidenza a favore dell’evoluzione quale ci è fornita dall’embriologia: L’ontogenesi ricapitola la filogenesi”.Egli purtroppo ignorava la dichiarazione fatta dal presidente dell’Associazione Britannica per il Progresso della Scienza, uno dei più eminenti embriologisti mai esistiti, secondo il quale “tutti i dati sullo sviluppo del feto sono ora noti e l’embriologia non offre il più piccolo argomento a favore della teoria dell’evoluzione”. Egli stesso era costretto ad ammetterlo.

Così dunque il nostro professore di biologia fondava la sua difesa della teoria dell’evoluzione su una prova semplicemente inesistente! In effetti tutto porta a credere che l’affermazione del dr. Thompson, secondo cui “la comparsa del darwinismo ha avuto come corollario il declino della probità scientifica”, è esatta almeno in questo caso specifico.

L’uomo di Piltdown
E poi, certo, c’è la più celebre mistificazione di tutti i tempi: il famoso uomo di Piltdown. Nel 1912, Arthur Smith-Woodward, direttore del Museo Britannico di Storia naturale di Londra, e Charles Dawson, medico e paleontologo dilettante, scoprirono una mascella e una parte di cranio in una cava di sabbia nelle vicinanze di Piltdown, in Inghilterra. La mascella sembrava quella di una scimmia, quantunque non avesse i grandi denti propri di quest’animale; d’altra parte essa era molto scura e sembrava molto antica. Si affibbiò a questa scoperta il nome di Eoanthropus dawsoni o uomo di Dawson… il più antico “anello mancante”. Per quaranta anni, milioni di studenti hanno contemplato la “ricostruzione” dell’uomo di Dawson, la cui figura ornava le pareti di tutti i musei del mondo. Era stato trovato “l’anello mancante”!

Quarant’anni più tardi. Allorché fu scoperto il test al fluoruro, vi si sottoposero la mascella e il cranio. Risultò che il cranio non era vecchio di 500.000 anni, ma solamente di 2000 anni! Quanto alla mascella, essa non aveva che qualche dozzina di anni. In seguito essa fu esaminata al microscopio e si scoprì che i denti erano stati accuratamente limati allo scopo di darle un’apparenza umana. Il tutto era stato tinto con bicromato e sali di ferro per simularne l’antichità. La mascella era stata interrata in vista di una “scoperta”, probabilmente ad opera del dr. Dawson, che divenne celebre grazie all’Eoanthropus dawsoni… una mistificazione destinata ad alienare dalla fede in un Dio creatore milioni di studenti. L’uomo di Piltdown è stato una frode dalla a alla zeta.

Il “meteorite” di Orgueil
Un’altra frode ha per nome il meteorite di Orgueil. Poco più di un secolo fa si pretese d’aver scoperto un frammento di meteorite nel sud – ovest della Francia. Ciò avvenne solo cinque settimane dopo che Pasteur aveva dato la sua grande dimostrazione demolendo per sempre l’idea della generazione spontanea della vita. Davanti al crollo della loro teoria della generazione spontanea, gli evoluzionisti furono presi da un grande panico, e qualcuno pretese di aver scoperto questo frammento di meteorite contenente materiali organici.

Ma quasi cento anni dopo, sottoponendolo ad un esame, si è scoperto l’ingegnosissimo stratagemma: il mistificatore, a quanto pare, inumidì il frammento fino a farlo rammollire, poi, utilizzando una specie di colla come legante, vi introdusse della materia organica terrestre, la ricoprì e fece riscaldare il tutto per imitare l’effetto del riscaldamento terrestre. Infine sostenne che era sempre possibile spiegare l’origine della vita attraverso un’evoluzione naturale: essa era dovuta arrivare quaggiù attraverso dei meteoriti! Ancora una frode dolosa, perpetrata con cura a danno dei nostri figli.

Il giudizio di Scopes
C’è stato il famoso giudizio di Scopes, negli Stati Uniti, in seguito ad un dibattito fra evoluzionisti e creazionisti.
Il momento cruciale di questo dibattito si ebbe quando Clarence Darrow invitò il giovane pastore William Jennings Bryan al banco dei testimoni. Darrow, che era ateo ed evoluzionista, chiese a Bryan se sapeva che nel suo Stato natio, il Nebraska, alcuni milioni d’anni fa, era vissuta tutta una razza di uomini – scimmie. Bryan rispose che non ne sapeva nulla e che non ci credeva affatto. Fu allora che Darrow introdusse il dr. Henry Fairfield Osborn, del Museo americano di Storia naturale, il paleontologo più stimato a quel tempo negli Stati Uniti. Questi, come testimone, attestò che appena tre anni prima, nel 1922, era stata scoperta la prova che nel Nebraska era vissuta una razza di uomini – scimmie un milione d’anni fa. Bryan non si scompose. Gli evoluzionisti vinsero la causa.

La notizia fece il giro del mondo. Allorquando si fecero delle ricerche riguardo a questa pretesa prova, si trovò che essa era stata scoperta da un certo Harold Cooke, e pertanto, secondo la terminologia scientifica, al reperto era stato dato il nome di Hesperopithecus haroldcookii, vale a dire: uomo – scimmia occidentale di Harold Cooke. Ma in che consisteva la prova? La prova era data da un dente. Non diversi denti o una mascella o un cranio – ma un dente! Qualche tempo dopo si scoprì un identico altro dente nella medesima zona. Questo secondo dente però era attaccato ad una mascella, la quale a sua vola faceva parte di uno scheletro, e questo scheletro era quello d’un porco, più esattamente un pecari o suino americano, una specie estinta.

Il dr. Duane Gish, esperto in fossili, commentando la scoperta, disse:
“Non si tratta né di una scimmia vicina all’uomo, né di un uomo vicino alla scimmia, ma semplicemente di una specie scomparsa di maiale. Io penso che ci troviamo di fronte al caso di uno scienziato che ha prodotto un uomo partendo da un porco, oppure di un porco che ha prodotto una scimmia partendo da uno scienziato”.Ma, caro amico lettore, permettimi che ti faccia notare che nei manuali scolastici è comparsa tutta una serie di disegni e di raffigurazioni di questo uomo-scimmia immaginario. Nei musei di storia naturale si mostra l’Hesperopithecus haroldcookii modellato in tutte le misure, avvolto nella sua gloria, seduto attorno al fuoco con la sua famiglia, con una clava sulle spalle, mentre saluta il mondo. Tutta una razza di uomini – scimmie vissuti un milione d’anni fa nel Nebraska… E tutto questo non era altro che un dente di porco!

Il pitecantropo
E veniamo al Pithecanthropus erectus. Il nome letteralmente significa “uomo-scimmia che si tiene in piedi”. Il pitecantropo fu scoperto dal medico olandese Eugenio Dubois, che s’era recato espressamente a Giava per scoprirvi un uomo-scimmia. Tutto ciò è abbastanza rivelatore di una certa obiettività scientifica: quando qualcuno si mette in testa di percorrere una metà del mondo allo scopo di trovare un uomo – scimmia… ecco che lo trova!

Tuttavia Dubois non volle mostrare a nessuno la sua scoperta. Tutto ciò che mostrava era un calco in gesso, che diceva di aver ricavato dal cranio. Ciò che aveva trovato era una calotta cranica e un femore. Appariva evidente che il femore era umano e la calotta era scimmiesca. Ma Dubois, asserendo che erano appartenuti al medesimo individuo, li mise insieme e li chiamò Pithecanthropus erectus.

Ma tacque premeditatamente su alcuni particolari. Non disse, per esempio, che il femore era stato scoperto a circa quindici metri di distanza dalla calotta cranica. Inoltre non disse che allo stesso livello della calotta cranica scimmiesca del pitecantropo, cioè nel medesimo strato, egli aveva trovato due crani umani (noti come Wadjak 1 e 2), di una capacità cranica di circa 1500 -1650 cm3, ciò che è più della media normale.

Dubois (che era stato in corrispondenza con Haeckel e ne fu complice) conservò per ventisei anni questi due crani umani sotto il pavimento della sua camera, ben sapendo che se avesse svelato che li aveva trovati nel medesimo strato in cui era la calotta di scimmia, e che quindi risalivano alla medesima epoca, sarebbe saltato in aria il suo pitecantropo, supposto antenato degli esseri umani. Prima di morire, Dubois finì per ammettere che la famosa calotta apparteneva ad un grande gibbone e non a qualche specie di uomo scimmia.

L’uomo di Neanderthal
Adesso arriviamo ad un’altra scoperta celebre: l’uomo di Neanderthal. Il nome vi è certamente familiare. Nel 1856 fu scoperto un certo numero di scheletri nella valle di Neander, nei pressi di Dusseldorf in Germania. Essi furono ricostruiti da un paleontologo di nome Boule. Le immagini delle ricostruzioni cominciarono allora ad ornare i muri dei musei e i manuali scolastici di tutto il mondo! Forse vi ricorderete di queste raffigurazioni degli uomini di Neanderthal: avevano la schiena ricurva, camminavano sul lato esterno della pianta dei piedi, portando una clava sulle spalle e trascinandosi dietro le loro donne afferrate per i capelli. Perfetti uomini – scimmie!

Si seppe in seguito che l’uomo di Neanderthal soffriva di rachitismo e di osteoartrite (ciò che spiega la schiena ricurva), ma si scoprì anche che Boule, avendo a disposizione tutto un assortimento di ossa, le aveva riunite in modo tale da far assumere all’uomo l’aspetto di scimmia. In effetti lo scheletro fu ricostruito in una maniera incredibile: per esempio, l’alluce fu girato e collocato all’esterno del piede a guisa di quello di una scimmia. Questa particolarità si presumeva obbligasse l’uomo di Neanderthal a camminare sul bordo esterno della pianta del piede.

Non si può fare a meno di concludere che Boule aveva premeditato di ricostruire gli scheletri in modo da dar loro un’apparenza scimmiesca. Gli scienziati moderni sono giunti alla conclusione che si trattava di un colossale errore. E’ il meno che si possa dire. Ma nel frattempo milioni di persone sono rimaste ingannate.

Gli australopitechi
Veniamo adesso agli Australopitechi, o “scimmie del Sud”, come vengono chiamati. Gli antropologi concentrano adesso la loro attenzione sull’Africa, donde ci vengono nomi quali lo Zinjanthropus, l’Uomo abile, il cranio 1470 e “Lucy”, l’ultima scoperta di Donald Johanson. Si afferma con sicurezza che in questo continente si ebbero i precursori dell’uomo.

Ma è proprio così? Chiaramente per i difensori dell’ipotesi ci sono dei nodi molto seri da sciogliere. Lord Solly Zuckerman, uno degli anatomisti inglesi più in vista, ha trascorso quindici anni a studiare i resti dell’Australopiteco, giungendo alla conclusione che si tratta di una scimmia al cento per cento. Il dr. Charles Oxnard, avendo compiuto svariate analisi al computer di queste ossa, è giunto alla conclusione che gli Australopitechi non si tenevano in piedi, contrariamente a quanto era stato affermato in precedenza ma, avendo lunghe braccia, camminavano appoggiandosi sui pugni (“knuckelwalkers”). Dunque, non si trattava affatto di pre-umani, ma semplicemente di scimmie!
Lord Zuckerman ha affermato che se l’uomo è evoluto partendo da un antenato scimmia, egli l’ha fatto senza lasciare la più piccola traccia negli archivi fossili.

E’ questo che si lascia intendere ai nostri figli a scuola? Un giovane, che recentemente aveva frequentato un corso di antropologia all’Università della Florida, m’ha detto d’essere rimasto sorpreso quando il professore, alla fine del semestre, aveva avuto l’onestà di dichiarare davanti a tutta la classe che tutto ciò che era stato detto durante il corso non era altro che pura speculazione; che non c’era un solo fatto su cui basare quanto egli aveva asserito.

Qual è la sostanza del problema?
Il grande quesito è quello di sapere se ciò che si vuole farci credere ci è proposto da uomini di scienza oppure da truffatori. L’evoluzionismo sarebbe dunque la più grande farsa mai messa in scena? E se è così, quale ne è il movente?

Permettetemi che vi dica che non siamo di fronte ad una faccenda da trattare alla leggera o che si presti ad una battuta scherzosa… La risposta al quesito è di un’estrema importanza. E’ necessario risalire alla fonte, scoprire la genesi di questo affare, conoscerne l’etiologia come si farebbe per una malattia, per un movimento, per una filosofia.

L’evoluzionismo è stato senza dubbio la teoria che ha maggiormente contrassegnato il XX secolo. Questa teoria s’è trascinata dietro delle incredibili conseguenze. Quali? Essa è all’origine del Nazismo. Darwin ha scritto un libro intitolato “L’Origine delle Specie” (col sottotitolo: “La preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita”). Per Adolf Hitler non c’è stato che un passo da fare, lui che era un convinto evoluzionista, per andare dal concetto di “sopravvivenza” a quello di “dominio” delle razze.

Quanto a Mussolini, i suoi discorsi erano sempre ornati di slogan evoluzionisti. Il suo zelo evoluzionista gli rendeva spregevole l’idea della pace, che considerava come qualcosa di avverso all’evoluzione: la guerra doveva accelerare il processo evolutivo, che secondo lui era il fine supremo da raggiungere. Pensate al corteo di miserie e di desolazione causato dalla 2a Guerra mondiale.

Questa faccenda dell’evoluzione… sarebbe una bagattella?
Ricordiamoci che Carlo Marx, quando lesse l’opera di Darwin, s’invaghì a tal punto dell’evoluzionismo da pensare di avervi trovato la base scientifica del comunismo. Dato che il comunismo, come tutte le ideologie atee, non crede in un Creatore, deve necessariamente spiegare il mondo da un punto di vista materialista ed evoluzionista. Marx realizzò di aver trovato la risposta nel darwinismo. Egli se ne innamorò a tal punto che si propose di dedicare il suo libro “Il Capitale” a Charles Darwin. Per fortuna la moglie di Darwin ebbe il buon senso di convincerlo a tralasciare questo “onore”.

Attualmente il comunismo si basa al cento per cento sull’evoluzionismo. Ho avuto l’occasione di leggere un libro di un pastore asiatico, il quale racconta che allorquando i comunisti s’impadronirono del suo villaggio, la prima cosa che fecero fu quella di indottrinare tutti sull’evoluzionismo. Questa ideologia prevale non solo nel mondo orientale ma anche in America e in tutto il mondo occidentale a base di quello che viene chiamato “l’umanesimo secolare”. L’uomo è un prodotto naturale del suo ambiente, che non è stato creato ma si è evoluto. Di conseguenza noi vediamo che sia che si parli di nazismo, di fascismo, di comunismo o di umanesimo, l’evoluzionismo è l’albero comune che li porta tutti.

Quali sono stati, nella nostra epoca, gli altri frutti dell’ipotesi evoluzionista? Come una gigantesca marea causata da un maremoto, la rivoluzione sessuale ha invaso il nostro paese e il resto del mondo. Adesso tutto è permesso! Agli inizi c’è stata la pornografia; poi l’adulterio; poi l’incesto e l’omosessualità; e adesso, come corollario, la pedofilia e la bestialità. Siamo in presenza di tutte le forme d’immoralità sessuale, che si trascinano dietro un’epidemia galoppante di malattie veneree. Attualmente negli USA infieriscono venticinque malattie veneree trasmissibili.

Come si è giunti a tanto?
L’evoluzionismo estromette Dio, e di conseguenza elimina ogni concetto di finalità. Senza Dio nulla più ha senso nel mondo. Non c’è parola più aborrita per un evoluzionista che quella di “teleologia” (= studio della finalità, degli scopi umani), concetto con cui si afferma che tutto ha un fine, un senso. Se l’occhio ha una ragion d’essere, per l’evoluzionista non ne ha nessuna, è solo per caso che esso è là. E se nulla ha un senso, allora tutto è lecito! Non ci sono più regole del gioco, tutto è relativo. Non c’è più un assoluto morale. C’è la legge della giungla.

Aldous Huxley, capofila ateo ed evoluzionista, autore de “Il Migliore dei Mondi” (Brave New World), ha detto:
“Io avevo delle ragioni per desiderare che il mondo non avesse senso; di conseguenza partii dal principio che esso non ne avesse affatto, e non m’è stato difficile trovare delle ragioni soddisfacenti a sostegno della mia supposizione… per me stesso, e senza dubbio per la maggior parte dei miei contemporanei, la filosofia del non-senso fu essenzialmente uno strumento di liberazione. La liberazione che desideravamo era nello stesso tempo la liberazione da un certo sistema politico ed economico (il capitalismo) e la liberazione da un certo sistema morale.

Noi rifiutavamo la morale perché essa faceva da ostacolo alla nostra libertà sessuale.”Sir Julian Huxley, un altro Uxley celebre, era il nipote di Thomas Huxley, noto come “il mastino di Darwin”. Sir Julian è stato presidente dell’UNESCO e, probabilmente, il più celebre biologista evoluzionista. Rimasi stupefatto quando nel corso d’una trasmissione televisiva l’udii dire:“Noi ci siamo tutti buttati sull’Origine” (ossia L’Origine delle Specie di Darwin, ndr) perché…”Perché… Quale motivo questo grande scienziato stava per indicare? Perché si sono tutti entusiasmati per “L’Origine delle Specie”? Era logico aspettarsi che terminasse la frase col dire che il motivo era dato dalla credibilità di Darwin, dal peso e dalla forza di convinzione delle sue prove scientifiche. E invece Sir Julian affermò:“Noi tutti ci siamo buttati sull’Origine perché la nozione di Dio faceva da ostacolo ai nostri costumi sessuali.”Fatti scientifici… o una farsa colossale?Obiettività… o una grande impostura?

Io sono felice di poter qui registrare il fatto che nel corso di centoventicinque anni l’evoluzionismo non s’è mai trovato in tale stato confusionale come attualmente. Gli evoluzionisti avvertono la disfatta. Dappertutto nel mondo, scienziati eminenti prendono coscienza della falsità di tutta la teoria. La definiscono una fiaba, un mito, storie ingegnosamente congegnate, un’impostura perpetrata a danno dei giovani di tutto il mondo.

Tuttavia i risultati di quest’impostura sono andati disastrosamente al di là di quanto si possa immaginare. E’ importante andare fino in fondo, fino alla radice del male. Da parte mia sono ben deciso a continuare a dare colpi d’accetta su questo fuscello di paglia che fa da base all’edificio di quelle mostruose teorie, che sono state la piaga del XX secolo. Sono convinto che verrà il giorno non lontano in cui tutto l’edificio crollerà con fracasso.

La verità è che c’è un Creatore che ci ha creati e ci ha inviato il suo Figlio per riscattarci; la verità è che coloro che pongono la loro fiducia in Gesù Cristo, il Salvatore del mondo risuscitato e vivente, ricevono il perdono, il dono della vita eterna, un senso per la propria vita, uno scopo per la loro esistenza, e infine e per sempre un posto con Lui nel cielo.

ALTRI PARERI DAL MONDO SCIENTIFICO

Scrive G. Monastra: “Il mondo dei biologi italiani è caratterizzato forse più di quello di altre nazioni da una forte dose di conservatorismo e conformismo […] ciò emerge con estrema chiarezza quando si affronta in modo critico il tema dell’evoluzionismo darwiniano, dogma indiscutibile per la biologia italiana forse più che per quella di altri paesi. Così abbiamo assistito in questi ultimi decenni a vere e proprie scomuniche nei confronti di quei pochi studiosi che hanno ritenuto un dovere scientifico, prima ancora che un diritto, ripensare, in modo intellettualmente libero, ai fondamenti della Natura nella sua stabilità e nel suo divenire.
Questo fondamentalismo parascientifico lo si riscontra in Montalenti quando affermava in modo perentorio che «le scienze naturali debbono cercare di dare interpretazioni naturalistiche, in senso causale, meccanicistico» dei fenomeni del mondo biologico. Ma dove sta scritto che la natura debba essere spiegabile in termini scientifici solo attraverso il paradigma meccanicista? Perché limitare il programma di ricerca in modo così unilaterale e antiscientifico? Il meccanicismo, infatti, non è la “scienza”, ma solo un modo di interpretare i fenomeni naturali, un modo fra i tanti, strettamente legato allo scientismo.”

1. Giuseppe Sermonti e Roberto Fondi
Fin dal 1980 Giuseppe Sermonti (biologo di fama internazionale e autore di ricerche all’avanguardia nel campo della genetica) e Roberto Fondi (docente universitario di paleontologia) hanno sostenuto la fallacità delle teorie di Darwin.
Sermonti ha affermato: “La teoria darwiniana dell’evoluzione – se mai una ve ne fu – è morta giovane, all’inizio dell’900” (G. Sermonti, prefazione del libro di Maurizio Blondet, L’Uccellosauro ed altri animali: la catastrofe del Darwinismo, Milano, Effedieffe Edizioni, 2002; vedi anche G. Sermonti e R. Fondi: Dopo Darwin, Milano, Rusconi, 1980).

2. Walter J. Remine e il problema di Haldane
Nel 1993 Walter J. Remine pubblicò il libro “The Biotic Message: Evolution Versus Message Theory”.

Nel capitolo intitolato “Il dilemma di Haldane” si legge che sessant’anni fa, “il genetista J.B.S. Haldane scoprì il problema che ora porta il suo nome. Il problema non fu mai risolto, però gli evoluzionisti lo oscurarono e lo misero da parte. Il problema e le sue cosiddette soluzioni sono quasi sempre assenti dai libri sull’evoluzione dell’uomo, perfino dai libri di testo sulla genetica. Soltanto pochi studenti specializzati sono consapevoli della serietà del problema.

Haldane scoprì che vertebrati altamente evoluti come i mammiferi (organismi dal basso tasso di riproduzione) non avrebbero plausibilmente potuto evolversi entro il periodo di tempo a loro disposizione. In particolare, egli scoprì che il ricambio veloce (ovvero sostituzione) delle mutazioni in una popolazione incorre in un costo che deve essere ricompensato dalla riproduzione della specie. Le specie dal tasso di riproduzione basso non possono verosimilmente compensare a questo costo ad un ritmo sufficientemente veloce da spingere l’evoluzione agli alti ritmi affermati dagli evoluzionisti.
Se applichiamo le analisi pubblicate da Haldane, è facile dimostrare che l’evoluzione degli esseri umani dai loro presunti antenati simili alle scimmie di 10 milioni di anni fa avrebbero dovuto comprendere in termini massimi 1.667 nucleotidi benefici. Eppure nessun evoluzionista ha pubblicato una tale cifra durante i 60 anni che sono ora passati. Questo fatto la dice lunga sulla serietà delle spiegazioni che essi ci devono.

Il dilemma dell’evoluzionista non può essere risolto dal modello standard della genetica evoluzionista, che è l’unico modello che spicca in tutti i libri di testo sull’evoluzione. I genetisti dell’evoluzione se ne sarebbero dovuti accorgere 60 anni fa. Eppure il modello standard si “vende” tutt’ora bene (e il dilemma di Haldane continua ad essere ignorato), perché è più facile far accettare il programma dell’evoluzione in questo modo.

Il “costo di sostituzione” di Haldane è di natura meccanica ed è inevitabile. Vale perfino per simulazioni su computer dell’evoluzione, come per esempio la simulazione di Richard Dawkins nel “The Blind Watchmaker” (“L’orologiaio cieco”). La sua simulazione viene smantellata per dimostrare la sua inerente illusione. Se usiamo la simulazione di Dawkins, su computer, è facile vedere come una riproduzione a tassi bassi, limita in maniera drammatica la velocità di sostituzione.
Gli evoluzionisti affermarono anche che la sostituzione neutrale non incorreva in nessun costo. Ma ogni sostituzione incorre in un costo, anche le sostituzioni neutrali”.
Remine dimostrò il modo in cui il costo viene pagato dalle mutazioni neutrali, e perché questo non spiega il dilemma di Haldane; e come la concentrazione da parte degli evoluzionisti sulla carica genetica ha oscurato i problemi, piuttosto che rivelarli.

Usando dati direttamente osservabili nonché la teoria fornita dal genetista Motoo Kimura (l’autore della teoria neutrale), Remine dimostrò che “in dieci milioni di anni una popolazione simile agli uomini potrebbe, nella migliore delle ipotesi, sostituire 25.000 mutazioni neutrali manifestatesi. Ciò ammonta al 0,0007 % del genoma, e non è neanche lontanamente sufficiente a risolvere il dilemma di Haldane o a spiegare l’evoluzione del genere umano”.

Ancora un altro problema evidenziato da Remine, è “quello relativo al genoma altamente inerte. Nel tentativo di evitare le problematiche poste dalla catastrofe d’errore, vari evoluzionisti accennano al fatto che una grande parte del genoma è inerte – senza espressione o funzione – e perciò non influenzato da mutazioni dannose. Tuttavia l’esistenza di un genoma altamente inerte non è credibile oggi, semmai lo sia stata nel passato”.

3. Vladislav Olkhovsky, fisico nucleare (Istituto di ricerca nucleare dell’Accademia delle Scienze dell’Ucraina)
“Il senso generale di questa parola è [evoluzione] troppo vago ed è usato in tutte le scienze e in tutte le visioni del mondo con i significati più diversi. Per la dottrina di Darwin, riguardante l’evoluzione biologica, è invece importante distinguere tra “microevoluzione”, che si riferisce all’evoluzione all’interno di qualsiasi specie (o genere), e “macroevoluzione”, che si riferisce all’evoluzione (trasformazione) di una specie (o genere) di solito più semplice, in un’altra specie (o genere) di solito più complessa. La confusione tra i concetti di “microevoluzione” e “macroevoluzione” provoca molte incomprensioni sulla dottrina dell’evoluzione.

Mentre tutti sono d’accordo che la teoria di Darwin può spiegare la “microevoluzione”, finora nessun fatto scientifico e nessuna verifica scientifica indiscutibile hanno suggerito che la teoria di Darwin può spiegare anche la macroevoluzione dagli esseri unicellulari a quelli pluricellulari, dalle specie meno complesse alle specie più complesse. La dottrina della macro-evoluzione naturale non ha ottenuto fino ad ora – in 150 anni – alcuna conferma empirica sicura o univoca […]

Nessuno, poi, è riuscito a risolvere in modo indiscutibile il problema dell’origine spontanea delle strutture ed apparati “integrali” (dal punto di vista sia morfologico che biochimico), che hanno una complessità irriducibile (come ad esempio l’occhio, l’orecchio, il sangue). Tutti gli organismi viventi sono pieni di strutture dalla complessità irriducibile che assicurano loro il migliore adattamento possibile all’ambiente, ma queste strutture non possono formarsi col gradualismo supposto da Darwin.

Un altro punto non chiarito è il punto di partenza della macroevoluzione biologica. Da che cosa inizia? Dalla materia non-vivente, da una cellula viva, o dalla biosfera intera? A queste domande non esiste una risposta scientifica! Per di più, non c’è nessun fatto a favore dell’origine spontanea della vita dalla materia non-vivente.

Tutti i dati osservabili, al contrario, hanno una spiegazione alternativa migliore, tenendo conto dell’aumento del “disordine complessivo” (cioè dell’entropia generale, in base alla seconda legge della termodinamica) e del principio antropico (il perfetto adattamento dell’ambiente della Terra per consentire l’esistenza della vita), come vedremo meglio.

La macroevoluzione, infatti, non concorda con l’aumento dell’entropia della terra. Dobbiamo anche tenere conto che le terra è un sistema aperto e che il 30% circa del flusso energetico del sole è energia calorica che aumenta l’entropia; l’energia solare non contiene alcunché in grado di far aumentare l’informazione genetica.

Le ricerche nelle scienze naturali hanno da tempo accumulato numerosi dati che indicano inequivocabilmente che le costanti fisiche fondamentali e le proprietà generali e locali dell’Universo sono in sintonia così precisa da essere assolutamente improbabile che siano frutto del caso. Questa sintonizzazione è indispensabile per l’esistenza stessa della vita e dell’uomo sulla Terra. Un cambiamento delle costanti di tutte e quattro le interazioni (nucleari, elettro-magnetiche, deboli e gravitazionali), anche solo in misura di qualche punto percentuale, avrebbe causato un cambiamento tale nell’evoluzione delle stelle e nella nucleosintesi, da rendere l’esistenza stessa dell’uomo impossibile. Questa è l’essenza del principio antropico.

Per quanto riguarda le prove fossili, l’esistenza di forme “transitorie” o “intermedie” ipotizzate da Darwin, è stata decisamente smentita dalla paleontologia. Le forme fossili cosiddette transitorie sono rare ed estremamente discutibili; tutti i maggiori gruppi viventi compaiono improvvisamente e completamente formati, senza mostrare cambiamenti direzionali durante l’arco della loro esistenza (fino ad oggi oppure fino alla loro estinzione). D’altra parte, l’unico modo per tentare di ricostruire una catena evoluzionistica sarebbe lo studio genetico dei fossili, cosa che è impossibile.
National Geographic utilizza come prova a favore dell’evoluzione addirittura la struttura degli embrioni (p. 13): “Perchè l’embrione di un mammifero passa attraverso stadi di sviluppo che assomigliano a quelli dell’embrione di un rettile”? […] “Perché, come scrisse Darwin, ‘l’embrione è l’animale nel suo stato meno modificato” e quello stato “rivela la struttura del progenitore”.

Quest’ultima idea, più nota come la “legge biogenetica fondamentale” del biologo tedesco Ernst Haeckel (1866), è stata smentita già nel 1874 dallo specialista in anatomia Wilhelm His ed è stata respinta dal mondo scientifico sin dagli anni venti. È completamente scomparsa dai testi universitari a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso perciò stupisce vederla riproporre come se il tempo non fosse passato.

Per quanto riguarda la presunta evoluzione dell’uomo, vale la pena di chiedersi cosa, oltre alla somiglianza anatomica, morfologica e genetica, dà agli evoluzionisti delle ragioni per proporre la macro-evoluzione da antenati comuni a primati e uomo. Quale sarebbe, poi, la somiglianza spirituale fra l’animale-antenato dell’uomo e l’uomo moderno, con la sua mente capace di pensiero astratto, l’auto-coscienza, la moralità e la lingua, caratteristiche assolutamente assenti in qualsiasi animale. La teoria (insegnata nell’ex URSS) dell’evoluzionista Friedrich Engels, secondo la quale sia stato proprio il lavoro a trasformare la scimmia in uomo, fa soltanto ridere.

L’unica risposta è che c’è un enorme abisso tra l’uomo e qualsiasi animale! Il primo a sottolineare questo è stato Albert Einstein, per cui tale abisso è stato chiamato “abisso di Einstein”. Da notare che non c’è nessun tentativo riuscito di trovare un modello scientifico del meccanismo dell’origine spontanea della vita spirituale. Questo problema é molto piú serio di quello – già irrisolvibile – dell’origine spontanea della vita biologica. Queste stesse evidenze erano già note nella scienza di 54 anni fa, tanto è che Einstein poté dichiarare (nel 1950): “Considero le dottrine evoluzionistiche di Darwin, Haeckel e Huxley tramontate senza speranza”.

Ormai si sta facendo sempre più strada, fra gli stessi scienziati, la convinzione che per spiegare l’origine degli esseri viventi e la loro complessità, bisogna supporre un “Progetto Intelligente”: ognuno ha poi una sua convinzione sulle caratteristiche del “Progettista”, ma diviene sempre più indecente continuare a riproporre il caso e la selezione naturale come la sorgente dei magnifici esseri viventi.

In un paese democratico e civilizzato, una rivista scientifica divulgativa avrebbe dovuto presentare tutte le opinioni e i fatti riguardanti la teoria di Darwin, ma questo avrebbe messo in evidenza che essa spiega solo la microevoluzione e non la macroevoluzione, la quale rimane – dopo quasi 150 anni – solo ipotetica e priva di conferme scientifiche.”

4. Prof. Antonino Zichichi, fisico nucleare di fama internazionale
“La cultura dominante ha posto il tema dell’evoluzione biologica della specie umana sul piedistallo di una grande verità scientifica in contrasto totale con la fede. Immaginiamo un nostro antenato dotato di straordinaria longevità. Invece dei nostri cento anni, supponiamo che sia capace di vivere diecimila anni. Questa fantastica proprietà gli permetterebbe di osservare quello che è successo nel mondo da diecimila anni a oggi. Egli potrebbe quindi studiare il modo peculiare in cui i suoi simili si sono trasformati nel corso dei vari secoli.

Troverebbe, questo nostro fantastico antenato, non poche difficoltà per capire cosa succede. E infatti, nel corso degli ultimi diecimila anni – dall’alba della civiltà ai nostri giorni – l’evoluzione biologica della specie umana ha fatto ben poco. Anzi, assolutamente nulla. L’uomo è esattamente com’era diecimila anni fa. Gli evoluzionisti dicono: “Ma questo è ovvio. Noi abbiamo sempre detto e ripetuto che i tempi tipici dell’evoluzionismo umano sono milioni, decine di milioni di anni”. Gli evoluzionisti parlano come se un milione o dieci milioni di anni fossero il risultato di una previsione teorica legata a un’equazione. Se la teoria evoluzionista avesse basi scientifiche serie, essa dovrebbe essere in grado di predire il valore esatto dei tempi che caratterizzano l’evoluzione umana.

I sostenitori della teoria evoluzionista del genere umano non hanno la minima idea di come impostarne le basi matematiche. La teoria dell’evoluzionismo umano non è nemmeno al livello della peggiore formulazione matematica di una qualsiasi teoria di fenomeni fondamentali. Prendiamo ad esempio la Cromodinamica Quantistica: la teoria che descrive le forze tra quark. Essa ha un apparato matematico ben preciso ed è in grado di prevedere molti effetti. Ciononostante noi non la consideriamo una teoria galileianamente verificata in tutti i suoi aspetti. Molte proprietà della sua formulazione matematica sono ancora poco capite e tante verifiche sperimentali debbono essere realizzate.

Un confronto tra questa teoria e la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana non è nemmeno ipotizzabile. Motivo: la Teoria Biologica della specie umana non ha alcuna base matematica. Eppure molti arrivano all’incredibile presunzione di classificarla come un’esatta teoria scientifica, corroborata da verifiche sperimentali. Domanda: quali sono le equazioni di questa teoria? Risposta: non esistono. Per chiarire meglio su quali basi poggia la teoria evoluzionista della specie umana è bene passare ora in rassegna i risultati sperimentali su cui si fondano queste speculazioni teoriche.

Diciamo subito che la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana non è Scienza galileiana. Essa pretende di andare molto al di là dei fatti accertati. La famiglia ominoidea inizia con la scimmia primitiva Dryopithecus, e si sdoppia in un ramo (Pongidoe), che porta agli scimpanzé, ai gorilla, agli orangutanghi. E nell’altro ramo (Hominidae), che dovrebbe portare a noi, attraverso la sequenza Homo Habilis (età della pietra), Homo Erectus (età del fuoco), Homo Sapiens Neanderthalensis, fino all’Homo Sapiens, che porta a noi. Questa catena ha però tanti anelli mancanti e ha bisogno di ricorrere a uno sviluppo miracoloso del cervello. Arrivati all’Homo Sapiens Neanderthalensis con un cervello di volume superiore al nostro, la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana ci dice che, quarantamila anni fa circa. l’Homo Sapiens Neanderthalensis si estingue in modo inspiegabile. E compare infine, in modo altrettanto inspiegabile, ventimila anni fa circa, l’Homo Sapiens Sapiens. Cioè noi. Una teoria con anelli mancanti, sviluppi miracolosi, inspiegabili estinzioni, improvvise scomparse non è Scienza galileiana. Essa può, al massimo, essere un tentativo interessante per stabilire una correlazione temporale diretta tra osservazioni di fatti ovviamente non riproducibili, obiettivamente frammentari e necessariamente bisognosi di ulteriori repliche…”.

Ecco i tre livelli di credibilità scientifica, che ci permetteranno di capire “a quale livello appartiene la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana.
Il primo livello è quello delle prove riproducibili: chi non credesse che la forza è proporzionale all’accelerazione potrebbe ripetere gli esperimenti di Galilei. Troverebbe sempre la stessa risposta.

Il secondo livello di credibilità si ha quando non è possibile studiare eventi riproducibili sotto controllo diretto. Vediamolo con un esempio. Nel cosmo si osservano diversi tipi di stelle. Introducendo un modello teorico, si possono interpretare quelle osservazioni in modo tale che un certo fenomeno stellare rappresenti l’esempio di come nasce una stella; un altro fenomeno, di come nuore. E così via. È ovvio che nessuno può dire: adesso ricomincio tutto daccapo, per verificare se è proprio vero che una stella nasce così ed evolve come previsto. Se manca qualche anello nell’evoluzione stellare, l’unica possibilità è la ricerca di qualcosa nel grande laboratorio cosmico su cui l’uomo mai potrà intervenire: il cielo.

Ma c’è di più. I modelli dell’evoluzione stellare potrebbero essere con elementi ancora da scoprire. Basta ricordare la scoperta delle stelle pulsanti (pulsar). Prima della scoperta dei pulsar, nessuno avrebbe potuto sostenere che questo fosse un anello fondamentale dell’evoluzione stellare. Nel cielo ci sono diversi esempi di stelle che nascono e che muoiono. Osservando esempi identici di evoluzione stellare, è come se si ripetesse l’esperimento. Pur senza alcuna possibilità di intervento diretto, come già detto.

Viene infine il terzo livello: quando una serie di fenomeni accade una sola volta. Sarebbe il caso dell’evoluzione della specie umana, se non ci fossero gli anelli mancanti e tutte le altre difficoltà prima elencate. L’evoluzione della specie umana non è ancora arrivata al terzo livello. Se lo fosse, potrebbe assurgere al secondo livello di credibilità scientifica se, qui sulla Terra, diverse volte – come avviene per i fenomeni stellari – fosse possibile osservare tutte quelle fasi evolutive da noi sintetizzate prima. Questo è ovviamente impossibile.

L’evoluzione della specie umana rimane quindi al di sotto del terzo livello di credibilità scientifica. Ma non è tutto. Infatti, nella sequenza evolutiva abbiamo già visto che ci sono anelli mancanti e fenomeni non capiti. Il terzo livello di credibilità scientifica appartiene a quei fenomeni che non hanno nè anelli mancanti nè punti misteriosi. Ecco perché la teoria che vuole l’uomo nello stesso albero genealogico della scimmia è al di sotto del più basso livello di credibilità scientifica.

Insomma, non è Scienza galileiana quella che pretende di imporre verità prive di quel rigore che ha fatto nascere, con Galilei, la Scienza… L’uomo della strada è convinto che Charles R. Darwin abbia dimostrato la nostra diretta discendenza dalle scimmie: per la cultura dominante non credere alla Teoria Evoluzionista della specie umana è atto di grave oscurantismo, paragonabile a ostinarsi nel credere che sia il Sole a girare intorno, con la Terra ferma al centro del mondo. È vero l’esatto contrario. Gli oscurantisti sono coloro che pretendono di fare assurgere al rango di verità scientifica una teoria priva di una pur elementare struttura matematica e senza alcuna prova sperimentale di stampo galileiano. Se l’uomo dei nostri tempi avesse una cultura veramente moderna, dovrebbe sapere che la teoria evoluzionistica non fa parte della Scienza galileiana. A essa mancano due pilastri che hanno permesso la grande svolta del milleseicento: la riproducibilità e il rigore. Insomma, mettere in discussione l’esistenza di Dio, sulla base di quanto gli evoluzionisti hanno fino a oggi scoperto, non ha nulla a che fare con la Scienza. Con l’oscurantismo moderno, sì.”

 

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